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Dati alla mano

Cosa significa

Le parole sono importanti. Ed è importante capirne il significato. Per chiarire alcuni fra i termini più utilizzati dai media, qui di seguito vi proponiamo un piccolo lessico organizzato in ordine alfabetico. Per accedere al significato, cliccate sulle singole parole.

È la classificazione delle attività economiche esistenti. È la versione nazionale della nomenclatura (Nace Rev. 2) definita e approvata in ambito europeo e che è, a sua volta, derivata da quella definita a livello Onu (Isic Rev. 4). L’Ateco (termine che sintetizza le parole attività economiche) è necessaria anche per produrre e diffondere i dati delle indagini statistiche. Infatti, tutto ciò che è oggetto di rilevazione statistica ha bisogno, per agevolare il lavoro, di essere classificato con un codice. A ogni attività economica corrisponde quindi un codice fatto di numeri, mentre si utilizzano le lettere dell’alfabeto per indicare le Sezioni, cioè le macro categorie produttive come Agricoltura, Manifattura ecc. Più numerosi sono i numeri del codice – possono arrivare fino a sei – più è dettagliata l’attività. Ad esempio, nella sezione M che contraddistingue le attività professionali, scientifiche e tecniche, il codice 73 indica le attività di pubblicità e ricerche di mercato, ma possiamo dettagliare di più: il codice 73.1 indica nello specifico la pubblicità, il 73.11.0 le agenzie di pubblicità, il 73.11.01 indica l’attività particolare di ideazione delle campagne pubblicitarie.

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Sono quei dati cui sono state applicate tecniche statistiche che consentono di eliminare le fluttuazioni legate a specifici periodi/stagioni per ragioni di clima, di leggi, di consuetudini ecc. Questa trasformazione dei dati permette di cogliere più correttamente l’andamento di un fenomeno fra un periodo e l’altro. Ecco un paio di esempi tipici: il calo della produzione industriale nel mese di agosto, dovuto alla chiusura per ferie di molte aziende, e l’aumento delle vendite al dettaglio nel mese di dicembre, per effetto delle festività natalizie. L’impiego di dati destagionalizzati permette di monitorare nel tempo l’evoluzione dei fenomeni e favorisce i confronti fra dati di diversi Paesi.

Rappresenta, al 31 dicembre di ogni anno, l’insieme del debito contratto dalle Amministrazioni pubbliche di uno Stato per avere le risorse necessarie per garantire servizi ai cittadini e investimenti necessari. Comprende anche le spese da sostenere per pagare gli interessi di debiti contratti negli anni precedenti. Il debito pubblico viene calcolato dalla Banca d’Italia sulla base delle regole statistiche fissate in ambito europeo.

Sono detti anche “persone in cerca di occupazione” e la loro numerosità viene diffusa dall’Istat ogni mese grazie ai risultati della Rilevazione sulle forze di lavoro che è un’indagine campionaria. Questo significa che viene intervistato un insieme di famiglie selezionate in modo tale da poter rappresentare l’intera popolazione. Le caratteristiche principali della rilevazione, le metodologie, così come le definizioni (fra cui quella di “disoccupato”) sono concordate a livello europeo, in modo da poter confrontare i dati fra i diversi Paesi.
In base a questi criteri condivisi sono considerati disoccupati quegli individui fra i 15 e i 74 anni che non hanno un ’occupazione e che si trovano in una di queste due condizioni:

  • hanno cercato attivamente lavoro almeno una volta nelle quattro settimane prima dell’intervista e sono disponibili a lavorare (o eventualmente ad avviare un’attività autonoma) entro le due settimane successive;
    oppure
  • inizieranno un lavoro entro tre mesi dal mese in cui si è svolta l’intervista e sarebbero disponibili a lavorare (o eventualmente ad avviare un’attività autonoma) entro le due settimane successive, se fosse possibile anticipare l’inizio del lavoro.

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Sono le persone in cerca di occupazione da almeno dodici mesi.

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È l’Ufficio statistico dell’Unione europea che diffonde dati statistici che consentono confronti fra paesi e regioni.

Si definisce così l’insieme delle persone occupate e disoccupate.

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L’insieme delle persone tra i 15 e i 74 anni che presentano una di queste due caratteristiche:

  • non hanno cercato un lavoro nelle ultime quattro settimane dall’intervista, ma sono disponibili a lavorare entro due settimane;
  • hanno cercato un lavoro nelle ultime quattro settimane, ma non sono disponibili a lavorare entro due settimane.

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È stata definita in ambito europeo (all’interno di un programma che si chiama Strategia Europa 2020) e indica la percentuale di persone che vivono in famiglie nelle quali siano presenti almeno quattro di queste nove condizioni:

  1. sono in arretrato nel pagamento di bollette, affitto, mutuo o altro tipo di prestito,
  2. hanno un riscaldamento dell’abitazione inadeguato,
  3. sono incapaci di affrontare spese impreviste,
  4. sono incapaci di fare, almeno una volta ogni due giorni, un pasto che comprenda proteine della carne o del pesce (o l’equivalente vegetariano),
  5. non possono permettersi di andare in vacanza per almeno una settimana all’anno,
  6. non possono permettersi un televisore a colori,
  7. non possono permettersi il frigorifero,
  8. non possono permettersi l’automobile,
  9. non possono permettersi il telefono.

L’indagine statistica attraverso la quale vengono rilevate queste informazioni si chiama Eu-silc e si svolge ogni anno con la stessa metodologia nei diversi paesi europei. Eu-silc è una delle principali fonti di dati che permette all’Unione europea di realizzare rapporti periodici sulla situazione sociale e sulla diffusione della povertà nei paesi membri. In Italia annualmente vengono intervistate 29mila famiglie (per un totale di quasi 70mila individui), distribuite in circa 640 Comuni italiani di diversa ampiezza.

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Sono detti anche non forze di lavoro e comprendono le persone non classificabili come occupate o disoccupate: ad esempio, i giovani fino ai 15 anni d’età, gli studenti, le casalinghe, gli inabili e le persone ritirate dal lavoro. Inoltre, sono inattive le persone che non hanno cercato lavoro nelle quattro settimane che precedono la settimana di riferimento dell’intervista (vedi la voce “Rilevazione sulle forze di lavoro”), o non sono disponibili a lavorare entro le due settimane successive, o entrambe le condizioni. La somma tra forza lavoro e inattivi corrisponde al totale della popolazione.

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È l’aumento del livello dei prezzi di beni e servizi destinati al consumo delle famiglie. Per misurarla l’Istat realizza l’indice dei prezzi al consumo, uno strumento statistico che consente di monitorare, nel tempo, le variazioni dei prezzi di un insieme di prodotti e servizi – chiamato paniere – rappresentativo di tutti i beni e servizi acquistabili dalla famiglie che vivono in Italia: dai prodotti alimentari alle utenze domestiche, dai mobili alle spese per trasporto ecc. Il paniere viene aggiornato ogni anno sulla base delle effettive abitudini di consumo delle famiglie. Nel 2022, ad esempio, sono stati introdotti alcuni nuovi prodotti perché sono entrati a far parte dei consumi abituali. Il paniere è suddiviso in 12 grandi gruppi di spesa e ognuno “pesa” sul calcolo dell’inflazione in modo diverso a seconda di quanta parte della spesa le famiglie dedicano al singolo insieme: ad esempio, il gruppo dei prodotti per l’alimentazione “pesa” di più di quello per le comunicazioni (cioè i servizi postali e la telefonia) perché l’alimentazione è una voce di spesa importante per tutte le famiglie. Nel complesso, i prodotti che nel 2022 fanno parte del paniere sono 1772, mentre i singoli prezzi che ogni mese vengono registrati sono oltre 30 milioni.
L’Istat realizza tre diverse tipologie di indice dei prezzi al consumo:

  • l’indice dei prezzi al consumo per l’intera collettività (NIC);
  • l’indice armonizzato dei prezzi al consumo (IPCA) e
  • l’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati (FOI).

Si basano sulla stessa metodologia e sullo stesso paniere con piccole differenze, soprattutto di peso delle voci che lo compongono. L’indice NIC è quello utilizzato per misurare l’inflazione a livello nazionale. L’indice IPCA è calcolato poter confrontare l’inflazione nei diversi Paesi dell’Ue; l’indice FOI, che esclude dal paniere i tabacchi, è generalmente utilizzato per le rivalutazioni monetarie, ad esempio per aggiornare gli affitti.

Per saperne di più
Il sistema dei prezzi al consumo

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vedi “Inflazione”

È il rapporto tra la popolazione in età anziana (65 anni e più) e la popolazione in età giovanile (meno di 15 anni) moltiplicato per 100. È uno degli indicatori che aiuta a capire il peso, nell’ambito della popolazione di un Paese, delle generazioni di anziani e quelle di giovanissimi. Ad esempio, nel 2019 in Italia l’indice di vecchiaia era 173,1, cioè c’erano 173,1 anziani per ogni cento giovani al di sotto dei 15 anni. Nello stesso anno, l’indice in Germania era 158,5 e in Irlanda 66,4. Queste differenze ci fanno capire che il nostro è fra i più “vecchi” Paesi d’Europa.

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È il rapporto tra la popolazione di 65 anni e più, quella cioè che generalmente ha smesso di lavorare, e la popolazione in età attiva (15-64 anni), moltiplicato per 100. L’indice è utile, insieme ad altre misure, anche per valutare la sostenibilità di un sistema pensionistico. Nel 2019, in Italia l’indice era 35,7 cioè c’erano 35,7 persone in età pensionabile ogni 100 potenziali lavoratori.

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È un acronimo (cioè una parola formata dalle iniziali di altre parole) e le lettere che lo compongono sono le iniziali di Not in Education, Employment or Training. La definizione indica quei giovani di classe di età specificata (solitamente tra i 15 e i 29 anni) che non lavorano e non frequentano la scuola, l’università o altri corsi di formazione.

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Come avviene per i disoccupati (vedi definizione) la loro numerosità viene diffusa dall’Istat ogni mese. I dati sono acquisiti attraverso la Rilevazione sulle forze di lavoro che è un’indagine campionaria. Questo significa che viene intervistato un insieme di famiglie selezionate in modo tale da poter rappresentare l’intera popolazione. Le caratteristiche principali della rilevazione, le metodologie, così come le definizioni (fra cui quella di “occupato”) sono concordate a livello europeo, in modo da poter confrontare i dati fra i diversi Paesi. In base a questi criteri condivisi sono considerati occupati tutti gli individui di 15 anni o più che, nella settimana cui si riferisce l’intervista, presentano una di queste caratteristiche anche a prescindere dall’esistenza di un contratto di lavoro:

  • hanno svolto almeno un’ora di lavoro in una qualsiasi attività che preveda un pagamento in denaro o in natura,
  • hanno svolto almeno un’ora di lavoro non retribuito nella ditta di un familiare nella quale collaborano abitualmente,
  • sono temporaneamente assenti dal lavoro perché in ferie, part time, malattia, formazione professionale retribuita,
  • sono in congedo parentale e ricevono una retribuzione, indipendentemente dalla durata dell’assenza,
  • sono assenti perché lavoratori stagionali che, nella bassa stagione, continuano a svolgere regolarmente mansioni e compiti necessari al proseguimento dell’attività, (esclusi obblighi legali o amministrativi),
  • sono temporaneamente assenti per altri motivi ma la durata dell’assenza non supera i tre mesi.

Nota.
Nel 2021 un Regolamento europeo ha reso necessario modificare la definizione di occupato. Oltre a comportare una revisione delle serie storiche – cioè delle tavole di dati pubblicate prima della modifica – questo ha avuto come conseguenza una riduzione della consistenza numerica degli occupati. Questo fatto è determinato da diverse componenti: in primo luogo le persone in cassa integrazione, che fino al 2020 erano tutte incluse fra gli occupati e che dal 2021 sono considerate occupate soltanto se si trovano in cassa integrazione da non più di tre mesi. Analogamente, i lavoratori autonomi non sono considerati occupati se l’assenza supera i tre mesi, anche se l’attività è solo momentaneamente sospesa.

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Vedi anche “Inflazione”. È l’insieme dei prodotti e servizi di cui vengono rilevate le variazioni di prezzo per misurare l’inflazione. Il paniere rappresenta i consumi delle famiglie che vivono in Italia, dal 1999 viene aggiornato ogni anno e, se cambiano le abitudini di consumo delle famiglie, possono essere inseriti nuovi prodotti e possono venirne esclusi altri. I prodotti/servizi pesano sulla misura dell’inflazione in modo diverso, a seconda dell’importanza che hanno sui consumi complessivi.

Scopri il paniere 2024

È il valore totale della ricchezza prodotta da un Paese nell’arco di un anno. Corrisponde cioè al valore della produzione totale di beni e servizi finali, calcolato cioè escludendo i beni intermedi necessari per realizzare i vari prodotti: ad esempio, il valore della produzione di un’azienda automobilistica viene considerato sottraendo il costo delle materie prime e delle componenti che è stato necessario acquistare per realizzare le automobili.

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Si calcola sulla base di una spesa mensile minima necessaria per acquisire un insieme di beni e servizi considerati indispensabili per condurre una vita accettabile. Quindi sono classificate come assolutamente povere le famiglie che hanno una spesa mensile uguale o inferiore a quel valore di spesa minima; però questo valore cambia a seconda della ripartizione geografica e dell’ampiezza del comune in cui si vive e varia anche sulla base di quanto è numerosa la famiglia e dell’età dei suoi componenti: una coppia di anziani del Mezzogiorno ha esigenze minime diverse da quelle di una madre sola con un bambino che vive al Nord, anche se in tutti e due i casi la famiglia è composta da due persone.

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Sono considerate relativamente povere le famiglie di due persone che in un mese spendono per consumi (cioè per l’acquisto di cibo, abiti e tutto ciò che occorre per vivere) una cifra uguale o inferiore a quella che spende in media una persona. Questo valore – la spesa media per persona – viene quindi considerato come linea di povertà relativa per una famiglia di due persone e, per le famiglie composte da un numero diverso di persone, il valore viene ricalcolato con strumenti statistici. La soglia della povertà relativa può variare di anno in anno perché può variare la spesa media per persona. Quindi la povertà relativa è una misura di disuguaglianza sociale perché si è “poveri” in relazione agli altri e non in assoluto (vedi anche povertà assoluta).

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È un’indagine campionaria in cui, durante le settimane di ogni trimestre, viene intervistato un insieme di famiglie selezionate in modo tale da poter rappresentare l’intera popolazione. Le caratteristiche principali della rilevazione, le metodologie, così come le definizioni (fra cui quelle di “occupato” e “disoccupato”) sono concordate a livello europeo, in modo da poter confrontare i dati fra i diversi Paesi.

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La rilevazione campionaria sulle forze di lavoro

È la differenza tra il numero dei nuovi iscritti in anagrafe, cioè i bambini che i genitori, alla nascita, iscrivono nell’anagrafe del proprio comune, e il numero delle persone cancellate dall’anagrafe perché decedute. Si parla di saldo negativo quando il numero dei morti (e quindi cancellati dagli elenchi) supera quello dei nati vivi (e quindi iscritti). Un saldo naturale negativo è segnale di calo demografico e se dura negli anni porta all’invecchiamento di un Paese e alla riduzione della popolazione, se non viene bilanciato dalle migrazioni di cittadini da altri Paesi.

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È la differenza tra il numero delle persone iscritte nei registri anagrafici dei comuni italiani perché si sono trasferite dall’estero e il numero delle persone che si sono cancellate dall’anagrafe perché dall’Italia si sono trasferite all’estero. Il saldo si dice positivo quando i nuovi iscritti nelle anagrafi italiane superano quelle dei cancellati perché trasferiti all’estero.

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È il numero medio di anni che una persona può contare di vivere dal momento in cui nasce se, nel corso della sua vita, i rischi di morire a una data età rimanessero identici a quelli registrati nell’anno di nascita.

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È il rapporto tra i disoccupati (di 15 anni e più) e l’insieme di occupati e disoccupati della stessa fascia di età, cioè di quell’insieme che viene definito “Forze di lavoro” (vedi la definizione).

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È il rapporto fra le persone fra i 15 e i 24 anni in cerca di occupazione e le forze di lavoro (vedi la definizione) della stessa fascia d’età. Ad esempio, se su cento giovani fra i 15 e i 24 anni 70 stanno ancora studiando, il tasso di disoccupazione giovanile si riferisce a quell’insieme di 30 giovani che costituiscono le forze di lavoro giovanili, mentre gli altri 70 sono “inattivi” ovvero non cercano lavoro né sono occupati perché sono ancora inseriti nei percorsi di istruzione. In questo caso, ad esempio, se il tasso di disoccupazione giovanile fosse il 50 per cento, vorrebbe dire che la metà di quei 30 giovani è alla ricerca di un lavoro e non che 50 giovani su 100 (che sarebbe il totale dei giovani fra i 15 e i 24 anni) sono disoccupati.

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È il rapporto tra gli occupati (in genere fra i 15 e i 64 anni) e l’insieme della popolazione della stessa fascia d’età.

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