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Quanto siamo internazionali?
Come misuriamo il grado e le caratteristiche dell’internazionalizzazione dell’economia italiana? Andiamo ad analizzare l’evoluzione di alcuni parametri.
Il primo e più immediato è l’apertura commerciale, vale a dire la media di import ed export di beni e servizi sul Prodotto Interno Lordo (Pil): in Italia oggi è stabilmente superiore al 30% e ha raggiunto il 35% negli anni 2021-2022, sull’onda dei rincari dei prezzi delle materie prime. Il confronto con i dati del passato, poco più del 15% nel 1970 e il 6% nel 1861, dà conto dell’accelerazione dell’integrazione commerciale internazionale dell’Italia degli ultimi cinquant’anni.
Altro aspetto da valutare è l’export italiano rispetto a quello degli altri Paesi: considerando singolarmente il valore delle esportazioni di merci sul Pil, nell’Unione europea l’Italia risulta attualmente seconda dopo la Germania; per i servizi, invece, il nostro Paese è meno internazionalizzato rispetto a Francia, Germania e Spagna e il divario è in crescita.
È interessante esaminare anche l’andamento settoriale dell’export. Ad esempio, i prodotti manifatturieri rappresentano oggi il 97% del valore delle esportazioni di beni dal nostro Paese e circa l’80% delle importazioni. Negli anni Sessanta dell’800, invece, rappresentavano meno del 20% delle esportazioni, l’export riguardava prevalentemente i prodotti agroalimentari e l’industria tessile muoveva i primi passi. Nel Secondo dopoguerra, e ancora di più nei decenni successivi, la crescita dell’economia è accompagnata e sostenuta dallo sviluppo delle filiere del tessile-abbigliamento-calzature e anche dei mobili, l’arredo, e i minerali non metalliferi, cioè l’insieme di prodotti riconosciuti come Made in Italy, e dei macchinari. Si tratta di filiere che costituiscono tutt’ora una porzione rilevante dell’export nazionale, nonostante per molte produzioni tradizionali del Made in Italy oggi l’Italia abbia perso la leadership a vantaggio delle economie emergenti. D’altra parte, negli anni più recenti cresciuto sensibilmente il peso delle esportazioni agro-alimentari e, tra i comparti tecnologicamente più avanzati, dei prodotti farmaceutici.
Un rilievo crescente hanno pure l’internazionalizzazione produttiva, e gli investimenti a essa associati: ancora nel 1980, il capitale estero investito in Italia, così come gli investimenti italiani all’estero, rappresentavano meno del 2% del Pil. Oggi, entrambi sono prossimi al 30%, e il personale impiegato dalle controllate estere delle aziende italiane è pari a 1,7 milioni di addetti, mentre le imprese italiane a controllo estero ne occupano 1,5 milioni, originando oltre il 30% dell’export del nostro Paese e più della metà dell’import.
Questi e altri dati si trovano nella pubblicazione dell’Istat Storia dell’internazionalizzazione dell’Italia dall’Unità a oggi, disponibile online, corredata di grafici interattivi, riferimenti bibliografici e tavole di dati per i lettori più curiosi. È un racconto che, attraverso lo sviluppo dei rapporti con l’estero, ricostruisce la trasformazione dell’Italia negli ultimi 160 anni, confrontandone i percorsi con quelli seguiti dalle altre grandi economie europee.
Tanti dati, ma anche storie e spunti per approfondire: ad esempio, il ruolo giocato dalle rimesse dei connazionali emigrati all’estero soprattutto a cavallo tra ‘800 e ‘900 e gli attuali flussi migratori verso l’Italia; o, ancora, l’espansione dei flussi finanziari, o l’internazionalizzazione culturale e linguistica dei giovani.
Per saperne di più: leggi la pubblicazione completa