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Il matrimonio
Che storia, quella del matrimonio. Dando a uno sguardo ai dati si tocca con mano il cambiamento del nostro modo di vivere insieme.
Un esempio? Nel 1940 il 98,7 per cento dei matrimoni avveniva in chiesa. Ancora vent’anni dopo, i matrimoni celebrati con rito religioso superavano il 98% e bisogna aspettare il 1977 perché scendano sotto il 90%; da allora il calo è lento ma continuo. Se nel 1990 i matrimoni religiosi erano ancora l’83,2%, nel 2010 scendono al 63,5%. Ma proviamo a leggere i dati al contrario: nel dopoguerra – prendiamo ad esempio il 1952– i matrimoni civili erano il 2,4%, mentre nel 2019 il 52,6%. Anche perché dall’introduzione del cosiddetto “divorzio breve” – nel 2015 – sono aumentati i secondi matrimoni: sempre nel 2019 più di un matrimonio su cinque vede almeno uno degli sposi alle seconde nozze.
Facciamo un salto ancora più indietro: un decennio dopo l’Unità d’Italia, nel 1871, gli sposi avevano prevalentemente fra i 25 e i 29 anni e le spose tra i 21 e i 24. Dunque erano molto più giovani di oggi gli sposi di allora, basti pensare che nel 2020 l’età media al primo matrimonio è 34,1 anni per lui e 32 per lei.
I “convolanti” di quel tempo dobbiamo inoltre supporli spesso analfabeti: ancora nel 1926 più del 10% degli sposi e oltre il 16% delle spose non appose la propria firma sull’atto di matrimonio. Oggi l’analfabetismo è fortunatamente un ricordo lontano.
E la scelta di vivere insieme al di fuori dai vincoli matrimoniali? Ancora nel 1990 le coppie non sposate erano soltanto l’1,3 per cento, con una variabilità sul territorio che andava dal minimo dello 0,5% nel Sud al massimo del 2,2% nel Nord Est. Nel 2015 sono quasi l’8 per cento, con differenze territoriali ancora significative (3,7% a Sud a fronte dell’11,7 % del Nord Est). Nel 2020 le coppie che vivono in libera unione sono complessivamente il 10 per cento e quasi un nuovo nato su tre ha i genitori non coniugati.
Ma l’arrivo del Covid-19 che conseguenze ha avuto sui matrimoni? L’abbiamo chiesto a Cinzia Castagnaro e Antonella Guarneri, autrici di un Report dedicato proprio a matrimoni, unioni civili, separazione e divorzi.
Il primo anno di pandemia li ha quasi dimezzati. Soprattutto i primi matrimoni, mentre le seconde nozze hanno retto di più.
Oltre alla forte diminuzione, emerge dal Report che più dei due terzi dei matrimoni nel 2020 sono stati celebrati con rito civile, siamo di fronte a un’accelerazione forte della secolarizzazione?
La frequenza del rito civile era già in crescita costante. Ma in effetti il dato del 2020 mostra un incremento ancora più marcato, visto che le celebrazioni con rito civile arrivano al 71,1%. Questo, verosimilmente, è da mettere in relazione al calo dei primi matrimoni. Tuttavia, nel 2020, anche nei primi matrimoni il rito civile mostra una accelerazione: siamo al 61,1% quando solo un anno prima la quota era 41,6.%.
Quindi dobbiamo aspettarci un ritorno alla situazione pre-pandemia?
Sì, ce lo dicono le prime evidenze del 2021: di fatto si torna ai livelli del 2019; c’è senz’altro una ripresa, anche se non un recupero di quanto perso nel 2020. Va però sottolineato che dalla metà degli anni Settanta stiamo assistendo in generale a una progressiva diminuzione della nuzialità, a un aumento dei matrimoni celebrati con rito civile e alla crescita delle libere unioni
Prevediamo un ritorno alla normalità anche per i secondi matrimoni?
Come dicevamo, hanno subito un calo meno drastico: nel 2020 sono diminuiti del 28,6 per cento, mentre i primi matrimoni hanno registrato un calo del 52,3%.
Nel complesso i secondi matrimoni rappresentano un fenomeno in crescita da quando è stato introdotto il divorzio breve e sono più diffusi dove rileviamo un tasso di divorzio più alto, dunque nelle regioni del Centro e del Nord. Di fatto la ricostituzione di famiglie è un trend che va di pari passo con separazioni e divorzi e, anche su questo versante, stiamo osservando un ritorno a valori analoghi a quelli pre-pandemia.
Per saperne di più:
Leggi il Report completo