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Tante cicogne in meno nel 2020

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Siamo in decrescita. E per niente felice. Decrescita demografica, per l’esattezza, visto che il 2020 ha visto 15mila nati in meno rispetto all’anno precedente. Colpa della pandemia? Soltanto in parte ci dicono i numeri, perché in Italia le nascite sono in caduta libera da parecchi anni. E il fenomeno è di quelli che si consolidano nel tempo, perché il calo forte della natalità avvenuto fra il 1976 e il 1995 ha fatto sì che mancassero all’appello negli anni successivi anche le madri potenziali: donne, ad esempio, che nel 2020 avrebbero fra i 25 e i 44 anni, in piena età feconda (la statistica considera età feconda quella fra i 15 e i 49 anni).

Poi la pandemia ha fatto il suo. Infatti, se nei primi dieci mesi dell’anno il calo dei nati si è mantenuto nella media del -2,5% (in linea con l’andamento del periodo 2009-2019) a novembre e dicembre è schizzato rispettivamente a -8,3% e -10,7%. Dal momento che fra concepimento e nascita passano nove mesi, è facile far risalire i mancati concepimenti al primo dilagare del Covid-19. E a testimonianza della relazione c’è anche il calo ancora più marcato (-15,4%) delle nascite di dicembre nel Nord-ovest, il territorio più duramente colpito dalla prima ondata.

Il 2021 non promette nulla di diverso, visto che i dati provvisori relativi al periodo gennaio-settembre ci segnalano già 12mila e 500 nascite in meno rispetto allo stesso periodo del 2020.

Ma cosa significa e quali conseguenze può avere un calo delle nascite tanto marcato? A questo proposito vale la pena seguire lo speech  che Alessandro Rosina, demografo doc, ha tenuto in occasione della 14° Conferenza nazionale di statistica .

 

 

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Data di pubblicazione: 17 dicembre 2021