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Misurare l’economia che non si vede

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A livello internazionale la chiamano NOE, un acronimo che sta a significare non observed economy, ovvero economia non osservata, perché invisibile. E allora com’è possibile che qualcuno la misuri? Come si fa a misurare ciò che risulta invisibile perché non è rintracciabile in alcun documento contabile?

Eppure questo è il compito di un intrepido team di statistici della Contabilità nazionale, cioè la Direzione Istat che, fra gli altri oneri, ha quello di stimare il Prodotto interno lordo (Pil).

Cerchiamo di venire a capo dell’apparente paradosso con Federico Sallusti che guida il team.

Anzitutto l’economia non osservata, la NOE, è compresa nella stima del Pil, giusto?

Certo, e da molti anni. Nel 2019 abbiamo stimato che rappresenta l’11,3 per cento del Pil italiano. E vale circa 203 miliardi di Euro.

Quali sono le componenti della NOE?

Da una parte il sommerso dell’economia, cioè essenzialmente i falsi fatturati o i falsi costi di imprese e professionisti, il lavoro “nero” o parzialmente irregolare, gli affitti non dichiarati; dall’altra comprende invece le attività produttive illegali, vale a dire il traffico di stupefacenti –che nell’economia illegale rappresenta la quota  che pesa di più – la prostituzione e il contrabbando di sigarette.  Sono queste le attività illegali più significative e comparabili a livello internazionale.

A questo punto credo sia importante fare una precisazione: noi non stimiamo la ricchezza  delle attività sommerse e illegali, ma il valore aggiunto che esse generano e che, di fatto, contribuisce a formare il Pil, cioè il complesso dei beni e servizi prodotti nell’anno dal Paese.  Per valore aggiunto di un bene o un servizio si intende la differenza tra il suo valore finale e il valore dei beni e servizi acquistati per produrlo.

Grazie della precisazione. Ma come si fa a rintracciare il valore aggiunto delle attività  “sommerse” e di quelle illegali se non esistono documenti che le testimoniano?

Eh, la parte interessante è proprio questa e i metodi sono molti, diretti e indiretti: ad esempio abbiamo modelli econometrici che ci dicono se un’impresa ha un comportamento che rientra in un range di normalità, tenuto conto delle sue dimensioni e del settore in cui opera; oppure incrociamo dati amministrativi e dati che provengono da indagini – ad esempio per stimare il numero reale delle unità di lavoro. O ancora, analizziamo le retribuzioni di chi lavora in una determinata filiera produttiva come dipendente e chi svolge lo stesso lavoro come indipendente per intercettare le incongruenze e stimare la sotto-dichiarazione del valore aggiunto degli operatori molto piccoli.

Insomma, una magia tutta statistica?

Più che magia, molta applicazione di tecniche statistiche e molta integrazione fra dati. Diciamo che ci aiuta la disponibilità di informazioni di dettaglio che provengono da fonti diverse.

E per le attività illegali?

Lì entra in gioco anche la collaborazione con le forze dell’ordine, con il dipartimento delle Politiche Antidroga e con chi svolge –anche a livello internazionale – indagini specifiche sulle attività illegali, ad esempio sui costi e sui consumi degli stupefacenti, il che ci permette di ricostruire il valore aggiunto anche di questa attività.

Beh, un gran lavoro. Chi crede che quello dello statistico sia un mestiere noioso farà bene a ricredersi.

Per saperne di più:

Leggi il Report completo sull’Economia non osservata

Guarda sul canale  YouTube dell’Istat  “il Pil spiegato in due minuti

 

Data di pubblicazione: 29 ottobre 2021