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Il volontariato, prima e dopo la pandemia

Cosa è cambiato, cosa è rimasto dell’impegno profuso nel momento buio del Covid 19

Anzitutto una premessa. Nel 2023 sette volontari su dieci erano già attivi prima della pandemia. Meno del 3% ha iniziato le attività di volontariato durante il periodo del Covid, uno su quattro ha iniziato dopo il 2020.  Questo vuol dire che ci troviamo di fronte a una realtà consolidata in Italia, una realtà che impegna 4,7 milioni di persone, come emerge dall’indagine Multiscopo Uso del tempo che ha rilevato, presso un campione di 19mila famiglie, quanti avevano svolto questo tipo di attività nelle quattro settimane precedenti l’intervista, sia in forma organizzata sia in forma diretta di aiuto a persone al di fuori della propria famiglia.

La pandemia – questo dicono i dati –  ha mobilitato anche chi non era necessariamente abituato a svolgere questo tipo di attività. Infatti, 770mila non più attivi hanno dichiarato di esserlo stati durante il Covid. I più mobilitati nelle attività estemporanee sono stati gli studenti, i residenti nei piccoli comuni e i residenti nel Nord ovest, non a caso il territorio più duramente colpito dagli effetti del virus. E fra chi era già attivo prima della pandemia, oltre la metà ha intensificato l’impegno.

Cosa è cambiato dopo? Non è semplice dirlo, ma alcuni elementi ci possono guidare: da una parte emerge una diminuzione, rispetto al passato, di volontari organizzati  impegnati in attività molto specializzate. Segno probabile che siano state destinate a professionisti retribuiti, testimoniando una sorta di più articolata organizzazione delle attività complessive.  Inoltre, un altro dato interessante riguarda i destinatari degli aiuti diretti: meno rappresentati i vicini, gli amici e i conoscenti, ma più impegno per la collettività, l’ambiente, il territorio, segno di un crescente impegno civico.

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