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L’economia nello spazio

L’Istat presenta i principali risultati relativi alla misurazione del contributo e delle principali caratteristiche dell’industria dello spazio emersi dal Conto tematico sull’economia dello spazio compilato per la prima volta in Italia con riferimento all’anno 2021. Il Conto tematico è stato sviluppato secondo le linee guida predisposte da ESA ed Eurostat, in collaborazione con OECD, US Bureau of Economic Analysis e Joint Research Center della Commissione Europea. La sua realizzazione si inserisce nell’ambito di un accordo di collaborazione tra l’Istat e l’Agenzia Spaziale Italiana (ASI) finalizzato alla raccolta di dati sulle caratteristiche delle imprese del comparto spaziale e sul loro contributo al sistema economico nazionale.

Le stime si riferiscono agli operatori economici privati e pubblici inclusi nel perimetro dei Conti nazionali, con l’esclusione delle Amministrazioni pubbliche centrali e locali, ma includendo, ad esempio, università e centri di ricerca. In particolare, sono escluse le spese connesse alle funzioni di difesa nazionale. L’universo statistico è costituito dalle unità produttive market e non-market riconducibili, secondo le linee guida internazionali, al comparto dell’economia dello spazio e articolate nelle tre componenti individuate: upstream, downstream e space-derived.[1] Le stime sono integrate e pienamente coerenti con il sistema dei Conti nazionali, garantendo così la possibilità di produrre indicatori strutturali e di performance comparabili nel tempo e fra Paesi. La compilazione del Conto è prevista con cadenza triennale. La prossima diffusione dei dati è programmata per il 2027 con riferimento all’anno 2024.

Il contributo dell’economia dello spazio

Nel 2021 le imprese incluse nel perimetro dell’economia dello spazio hanno generato una produzione pari a 8,0 miliardi di euro, impiegando poco più di 23mila addetti. Il valore aggiunto complessivo ammonta a 2,0 miliardi di euro, pari allo 0,1 per cento del Pil.

Il settore ha espresso flussi commerciali con l’estero per 2,1 miliardi di euro di esportazioni e 1,6 miliardi di importazioni. Gli investimenti fissi lordi in beni materiali sono pari a circa 0,7 miliardi, mentre quelli in ricerca e sviluppo ammontano a 0,6 miliardi. Le unità incluse nel settore non-market che operano all’interno dell’economia dello spazio hanno generato un valore aggiunto pari a 0,4 miliardi di euro, impiegando 2,2mila addetti, con investimenti in ricerca e sviluppo di poco inferiori a 0,2 miliardi. La componente upstream, che include le attività core dell’economia dello spazio, impiega poco più di 14mila addetti, con un valore della produzione pari a 4,1 miliardi di euro e un valore aggiunto di 1,3 miliardi. Le imprese operanti nell’upstream attivano esportazioni per 1,8 miliardi di euro e generano importazioni per 1,2 miliardi di euro.

Nel complesso, le imprese del settore spazio operanti nella manifattura generano un valore aggiunto di circa 1 miliardo di euro, pari allo 0,4 per cento dell’ammontare complessivo del comparto, impiegando poco meno di 10,5 mila addetti (0,3 per cento del totale). Il valore aggiunto “space” generato nei servizi è pari a 955 milioni, con circa 12,6mila addetti (si veda Figura 2).

In particolare, all’interno della manifattura, i comparti degli Altri mezzi di trasporto (700 milioni di euro), dell’Elettronica (205 milioni) e dei Macchinari (45 milioni) generano oltre il 90 per cento del valore aggiunto “space”, occupando 9,5mila addetti e attivando esportazioni per 1,4 miliardi di euro. Nel terziario, i settori del Software (226 milioni di euro), delle Telecomunicazioni (104 milioni) e della Programmazione e trasmissione (133 milioni) contribuiscono alla formazione della quasi totalità del valore aggiunto della componente downstream. I comparti del Software (105 milioni di euro) e Telecomunicazioni (119 milioni) contribuiscono in maniera rilevante anche alla formazione del valore aggiunto upstream.

Le imprese manifatturiere operanti nel comparto spazio importano beni e servizi per circa 1 miliardo di euro, che rappresentano lo 0,4 per cento delle importazioni dell’intero macrosettore. Ammontano a poco più di 600 milioni di euro, invece, le importazioni generate dalle imprese “space”individuate nel terziario, pari allo 0,3 per cento del livello complessivo del comparto. Per quanto concerne le esportazioni, nella manifattura le imprese “space” collocano all’estero una produzione pari a circa 1,5 miliardi di euro, pari allo 0,4 per cento dell’export manifatturiero italiano, mentre nei servizi, le esportazioni ammontano a 0,6 miliardi (si veda Figura 3). Le imprese di grandi dimensioni (250 addetti e oltre) generano poco più del 78% del valore aggiunto “space”, pari a 1,5 miliardi di euro, occupando circa 17,8mila addetti. Quelle di medie dimensioni (fra i 50 e i 250 addetti) contribuiscono per poco più del 15 per cento, che corrisponde a 0,3 miliardi di euro, e impiegano poco più di 4 mila addetti. Le micro e piccole imprese rappresentano una componente si scarso rilievo (121 milioni di euro di valore aggiunto e poco meno di 1,5mila addetti)

Le imprese appartenenti a gruppi multinazionali generano il 90 per cento del valore aggiunto dall’economia dello spazio (1,8 miliardi di euro, 20,5mila addetti). Considerando la sola componente upstream, esse contribuiscono con circa 1,2 miliardi di euro di valore aggiunto, occupando poco meno di 12,5mila addetti. Con riferimento alla componente upstream, il valore aggiunto delle multinazionali a controllo italiano ammonta a poco meno di 0,7 miliardi di euro con l’impiego di 6,4mila addetti. Quelle a controllo estero producono poco più di 0,5 miliardi di valore aggiunto e occupano circa 6mila addetti.

Le imprese multinazionali attivano la quasi totalità dei flussi con l’estero: 1,5 miliardi di euro di importazioni (0,8 miliardi attribuibili a multinazionali a controllo italiano e 0,7 miliardi a multinazionali a controllo estero);
2 miliardi di euro di esportazioni, generate in egual misura da multinazionali a controllo italiano ed estero. Considerando la dimensione territoriale, poco meno del 90 per cento dell’attività “space” si concentra nelle aree del Centro e nel Nord-Ovest del Paese, occupando complessivamente poco meno di 12mila addetti. Le regioni che contribuiscono principalmente alla formazione del valore aggiunto e all’occupazione sono Lazio (0.8 miliardi di euro di valore aggiunto, 8 mila addetti), Piemonte (0,2 miliardi, 2,2mila) e la Lombardia (0,7 miliardi, 8,3mila).

La produttività del lavoro delle imprese “space” supera del 65 per cento quella delle unità produttive “non-space” (84,8mila euro di valore aggiunto per addetto vs. 51,3mila). In termini settoriali, nella manifattura il differenziale è del 39 per cento, mentre nei servizi market è del 67 per cento. Esso si amplifica ulteriormente considerando la sola componente upstream, in cui la produttività sale a 94,1mila euro per addetto, oltre l’80 per cento più alta rispetto al resto dell’economia.

Le principali caratteristiche delle imprese upstream

Le imprese operanti nelle attività della componente upstream ricorrono in misura maggiore ai mercati esteri rispetto al resto dell’economia. Infatti, il loro grado di apertura internazionale, misurato come rapporto fra la somma di importazioni ed esportazioni e la produzione, è del 77 per cento superiore a quello riscontrato nel resto dell’economia.

Questa maggiore internazionalizzazione è principalmente spiegata dalle esportazioni. Infatti mentre il grado di dipendenza dalle importazioni riscontrato per le imprese upstream (27 per cento) è simile a quanto registrato per il resto dell’economia (29 per cento), la propensione alle esportazioni delle prime (33 per cento) è più che doppia rispetto a quella delle seconde (15 per cento). Conseguentemente, il tasso di copertura, ovvero il rapporto fra esportazioni e importazioni, è superiore per le imprese upstream (1,88) rispetto al resto dell’economia (1,13). Per le esportazioni di beni, le imprese upstream mostrano infine anche una maggiore diversificazione geografica dei mercati di destinazione (11,6 Paesi contro 7,5) e una più articolata differenziazione merceologica (13,1 prodotti esportati contro 9) al confronto con le altre unità produttive.

Le imprese operanti nel settore upstream sono caratterizzate da una propensione agli investimenti fissi lordi in beni materiali leggermente inferiore alle altre unità produttive, con un tasso di investimento, calcolato come rapporto fra investimenti e valore aggiunto, pari a 16,4 contro il 16,9 per cento. Un differenziale analogo, 11,8 contro 12,1 per cento, si osserva anche per il tasso di investimento depurato dalla componente dei fabbricati, e per gli investimenti in macchinari, dove l’indicatore per le imprese upstream è pari a 8,1 per cento, mentre per le altre si attesta all’8,4 per cento. Diversamente, all’interno della componente upstream, si riscontra una maggiore tendenza alla produzione di ricerca e sviluppo rispetto al resto del sistema. La quota di ricerca e sviluppo sul totale della produzione è pari al 6,1 per cento per le imprese upstream e al 2,6 per cento per le altre unità produttive. Una situazione simile si registra anche per la propensione all’investimento in ricerca e sviluppo rispetto al resto del sistema produttivo, 11,9 contro 7,2 per cento il rapporto fra investimenti in ricerca e sviluppo ed il valore aggiunto.

Le retribuzioni medie nelle unità produttive upstream (41,1mila euro per dipendente) sono il 55 per cento superiori a quelle osservate nelle altre imprese (26,5mila euro).

I maschi occupati nel comparto upstream sono il 77,1 per cento contro il 60,4 per cento nel resto dell’economia, con un gap salariale fra maschi e femmine più contenuto, 17 contro 40 per cento. Tenendo conto dell’età degli occupati, le imprese upstream impiegano lavoratori under 40 in misura minore, il 34 contro il 40 per cento delle altre unità produttive. Benché meno pagati degli over 40 in entrambi i casi, il differenziale retributivo medio è superiore nelle unità produttive upstream, dove gli under 40 ricevono una retribuzione inferiore del 26 per cento rispetto agli altri lavoratori, in confronto a un gap del 22 per cento nel resto del sistema produttivo.

La struttura occupazionale delle imprese operanti nell’upstream è fortemente orientata verso livelli di istruzione più alti: il 32,3 per cento dei dipendenti ha un’istruzione terziaria, il 47,7 per cento secondaria. Nel resto dell’economia, gli occupati con livello di istruzione terziaria sono 16,2 per cento, mentre sono 34,9 per cento quelli con istruzione primaria. Nell’upstream è più elevato il gap retributivo fra occupati con istruzione terziaria e primaria, il 78,6 per cento contro il 68,6 registrato per le altre unità produttive, mentre è inferiore quello riscontrato nella comparazione fra occupati con istruzione terziaria e secondaria, il 40,7 per cento rispetto al 43,3 nel resto dell’economia.

Il ricorso ai contratti a tempo determinato è marginale (3,7 per cento) nelle imprese upstream rispetto al resto dell’economia (16,6 per cento). In termini retributivi, gli occupati a tempo determinato nelle unità produttive upstream ricevono una retribuzione più alta del 31,8 per cento in confronto a quelli impiegati nel resto dell’economia. Tuttavia, nel comparto upstream gli occupati a tempo indeterminato ricevono una retribuzione media pro-capite del 69 per cento più alta di quella corrisposta agli occupati a tempo determinato.


[1] In questo lavoro, seguendo le definizioni coerenti con le linee guida internazionali, upstream indica l’insieme delle attività che producono prodotti e servizi usati nello spazio o che sono di essi input produttivi diretti (ad esempio satelliti o parti di satelliti). Per downstream si intendono quelle attività che producono beni e servizi che necessitano di input produttivi upstream per almeno una parte del loro processo produttivo (ad esempio, comunicazioni e trasmissioni che usano anche infrastrutture satellitari. Infine, la componente space-derived comprende le attività che producono beni e servizi che possono utilizzare input produttivi upstream nei loro processi di produzione benché non siano necessari (ad esempio, per il controllo da remoto delle infrastrutture di trasporto).

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