La struttura produttiva negli ultimi 60 anni è cambiata profondamente. Nel 1960, l’agricoltura contribuiva per circa il 10 per cento
al valore aggiunto dei paesi fondatori, e in Italia per quasi il 15 per cento. Il peso dell’industria – comprese le costruzioni – era superiore >leggi ancora
al 40 per cento (il 37 per cento in Italia) e quello dei servizi pari a poco meno della metà del totale. Nel 2016, il contributo dell’agricoltura si è ridotto all’1,3 per cento
(al 2,1 per cento in Italia) e quello dei servizi è salito fino a rappresentare quasi i tre quarti del totale del valore aggiunto.
La crescita economica nei decenni successivi la creazione della Comunità europea è stata impetuosa in tutti i paesi fondatori: nel 2007 il potere d’acquisto
pro capite era pari a 4,5 volte il livello del 1960 per l’Italia, e circa 4 volte per l’insieme dei sei >leggi ancora
paesi fondatori. Nel 2008 la crisi più prolungata da oltre un secolo ha interrotto questo lungo ciclo espansivo, fino al moderato recupero dell’ultimo biennio.
I prezzi al consumo per decenni in Italia sono aumentati in misura maggiore rispetto all’aggregato dei paesi fondatori. Fino all’adozione dell’euro nel 1999,
la dinamica più sostenuta dei prezzi interni è stata compensata >leggi ancora
da periodiche svalutazioni della lira: queste consentivano di recuperare competitività di prezzo rispetto agli altri paesi europei,
contribuendo però a innalzare il premio in termini di tassi di interesse che i debitori – compreso lo Stato – pagano per l’incertezza sul valore futuro delle obbligazioni.
Negli ultimi anni si è affermata una maggior disciplina, caratterizzata però dalla compressione dei salari e dei margini di vendita.
Il rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo in Italia ha iniziato a crescere già negli anni Settanta, accelerando nel decennio successivo, in cui si è determinato
un progressivo divario rispetto agli altri paesi fondatori. >leggi ancora
L’aggiustamento messo in atto nel corso degli anni Novanta ha portato a una riduzione del rapporto tra debito e Pil. La crisi ha però indotto un nuovo peggioramento.
La spesa per ricerca e sviluppo è cresciuta rapidamente in tutti i paesi fondatori fino alla metà degli anni Ottanta: tra il 1963 e il 1985, la sua incidenza sul Pil è salita
dall’1,5 al 2,1 per cento per il gruppo E6 e dallo 0,6 all’1,1 per cento in Italia. Nel ventennio successivo l’andamento >leggi ancora
ha seguito quello del Pil. L’incidenza è tornata a crescere negli anni più recenti, caratterizzati però dalla caduta dell’attività, in particolare in Italia.
Nel nostro paese l’incidenza della spesa in R&S continua a essere assai inferiore alla media europea (nel 2015, l’1,3 per cento del Pil contro il 2,0 per cento per l’insieme dell’Ue).
Il divario è minore e si è andato riducendo in termini di addetti alle attività di R&S. In Italia questi sono aumentati anche nel corso della crisi, e nel 2015 raggiungevano
circa l’1,5 per cento del totale degli occupati, pari a circa l’85 per cento della media europea (nel 2002 la quota era sotto il 75 per cento).